Per il campo estivo di quest’anno noi del clan arvenis abbiamo deciso di fare un’esperienza diversa dal solito. Invece di fare una route di cammino abbiamo passato cinque giorni nella comunità di recupero per tossicodipendenti di Montebuono. Una comunità attiva dal 1986 che si impegna ad aiutare persone con problemi di dipendenza e permette ad alcuni detenuti di scontare la propria pena al di fuori del carcere.
Durante i cinque giorni abbiamo convissuto con gli utenti della comunità svolgendo con loro le attività quotidiane, quali pulizia del giardino e delle strutture della comunità, preparazione dei pasti e cura dell’orto. Nello svolgere questi lavori eravamo divisi in gruppetti formati da un paio di noi ragazzi e un paio di loro; così, abbiamo creato un clima di confidenza che sarebbe stato difficile da raggiungere se avessimo svolto le attività tutti insieme.
In questo modo ognuno di noi è riuscito a condividere e ricevere testimonianze di esperienze personali, che ci hanno permesso di avere una visione più completa del mondo con cui siamo entrati a contatto; un mondo di cui fanno parte persone vittime di pregiudizi e di cui spesso si fa fatica a fidarsi.
Con quest’esperienza abbiamo capito che non è così. Ogni persona ha una storia diversa; ognuno di loro ha fatto degli errori ed ha avuto delle difficoltà che non è riuscito a gestire in modo sano, corretto, funzionale; la maggior parte delle persone che ha deciso di affidarsi alla comunità di Montebuono ha la consapevolezza di aver fatto delle scelte sbagliate ed è convinta del percorso che ha deciso di intraprendere.
Ci siamo resi conto di quanta diffidenza ci sia nei loro confronti, di quanto la gente sia prevenuta e di quanto in realtà queste persone abbiano solamente bisogno di sostegno e tanta forza.
Confrontandoci tra di noi abbiamo notato che siamo rimasti tutti colpiti da questa realtà, apparentemente molto distante da noi, ma che di fatto ci è più vicina di quanto sembri. Della loro vita, infatti, hanno fatto parte sì, crimini o uso di droghe, ma anche (anzi principalmente) figli, mogli, amici e genitori; e forse è proprio questo che ci ha colpiti di più: l’affetto verso gli altri che, a partire dal calore con cui siamo stati accolti, è stato manifestato anche nei nostri confronti.
Negli ultimi tre giorni della settimana abbiamo intrapreso un cammino lungo il lago Trasimeno e la prima notte siamo stati accolti dalla comunità “ il casolare” di Sanfatucchio, che ospita persone con problemi di tossicodipendenza, familiari o personali.
Nessuno di noi aveva aspettative riguardo la comunità con cui saremmo entrati a contatto e la scoperta di una realtà, sotto alcuni aspetti, così distante dalla precedente, ha stupito alcuni di noi e destabilizzato altri.
Mentre nella comunità di Montebuono la forza di andare avanti era dovuta alla volontà di migliorarsi e da progetti per una vita futura in libertà, qui a Sanfatucchio l’aspetto preponderante è la fede, fonte di forza e speranza. La sensazione che abbiamo avuto (e che poi ci è stata confermata essere lo scopo di questa comunità) è che tra gli utenti si sia creato un clima di fratellanza e di solidarietà legato al sentimento di fede, simile a quello che si può trovare in una famiglia. L’obiettivo principale di questa realtà, infatti, è quello di prendersi cura l’uno dell’altro, di accompagnarsi a vicenda giorno per giorno e di non far sentire agli altri la mancanza di un contesto familiare. Ci è stato spiegato poi, che chi decide di entrare a far parte della “famiglia” di sanfatucchio, deve abbandonare (quasi totalmente) i rapporti con i propri parenti e amici, che potrebbero ricondurli in contesti di dipendenze e sofferenze. I contatti con l’esterno, quindi vengono gestiti dagli operatori, che limitando l’utilizzo di mezzi di comunicazione come cellulari, computer e giornali, filtrano anche gli aggiornamenti riguardanti il mondo al di fuori della comunità.
In questa realtà la giornata è scandita in modo tale da avere del tempo adibito alla preghiera e altro alle attività quotidiane, che vengono svolte a turno in coppia o in piccoli gruppi e durante le quali gli uomini si occupano delle stalle, dei campi e della cucina mentre le donne delle faccende domestiche; ma l’impegno più grande che ogni persona si prende è l’accudimento di Edison, un ragazzo adottato e accolto anni fa dalla comunità, che da quel momento riceve l’affetto e le cure di cui ha bisogno.
Ciò che ci ha colpiti maggiormente di questa realtà è la grande fiducia nelle azioni di bene, nel fare dei lavori senza ricevere nulla in cambio e soprattutto il disinteresse verso l’arricchimento personale che è decisamente superato dal desiderio di riportare la felicità e la tranquillità nella vita degli altri.
Contemporaneamente alle esperienze vissute nelle comunità, durante il campo abbiamo avuto l’opportunità di seguire un percorso di fede, condotto da fra Manuel, che ci ha permesso di aprire i nostri pensieri in direzione di un mondo che alcuni di noi hanno sempre messo in secondo piano.
Chi si è trovato in disaccordo con gli spunti che ci sono stati donati non ha eretto muri, ma si è messo in gioco, tentando di comprendere un punto di vista diverso dal proprio. Chi, invece, era già sulla stessa onda di pensiero ha ricevuto degli input per ampliarne i confini.
Gli argomenti che abbiamo trattato, di primo impatto potevano apparire distanti dalla fede perché molto vicini alla vita di tutti i giorni, ma ci siamo resi conto che proprio il fatto che fossero temi vicini a noi ci ha permesso di metterci in discussione, di immedesimarci nei personaggi delle Parabole e soprattutto di modellare le informazioni che ricevevamo a seconda delle nostre esperienze personali.
Indubbiamente questo percorso ci ha lasciato qualcosa: a chi sono state chiarite le idee e a chi, invece, sono state scombinate. In ogni caso abbiamo appurato che nessuno di noi è rimasto indifferente alla parole ascoltate: ci abbiamo ragionato su, abbiamo sviluppato un nostro pensiero, abbiamo cambiato alcuni dei nostri comportamenti o il modo di affrontare le situazioni e abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con fra Manuel a proposito dei nostri dubbi.