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Un cammino senza fine

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Ci sono molti modi di vivere un pellegrinaggio: come una sfida contro i propri limiti fisici ed atletici; come un’esperienza prettamente spirituale e religiosa o come un’occasione di svago e socializzazione. Il cammino Roma – Assisi ha rappresentato per un me soprattutto un viaggio interiore.

Lungo la strada ho avuto l’occasione di andare alla scoperta di me, di esplorare il mio intimo nonché di intensificare il rapporto personale con il Signore, troppo spesso posto in secondo piano nella mia frenetica quotidianità.

Prima di intraprendere il viaggio avevo un solo pensiero: “Ce la farò?”. Non sono una persona particolarmente allenata, 20 chilometri al giorno sotto il sole di agosto non sono proprio una passeggiata eppure, il primo giorno, ne ho percorsi ben 24! I miei compagni e i loro incoraggiamenti sono stati la mia forza. Ad essere sincera, durante tutto il corso del primo giorno di cammino i miei pensieri erano abbastanza monotoni:

“Un piede davanti all’altro e giungerai alla prima tappa”

“Non sprecare fiato a parlare o cantare, concentrati sulla strada ed evita di crollare”.

Non avevo lasciato posto all’incontro, all’ascolto attivo, alla serenità di cuore. Tuttavia, devo ammettere che con il passare dei giorni ho imparato ad apprezzare la sveglia alle 5 del mattino; la prima ora di cammino in silenzio, meditando la parola di Dio e contemplando la natura che si risvegliava; la bellezza di gustare con altri 18 compagni di viaggio un pranzo preparato con amore e l’opportunità di arricchirsi ogni giorno attraverso le riflessioni suscitate dalle catechesi di Manuel, Maria Chiara, Paola, Andrea e Giuseppe.

Grazie alle indicazioni ed ai suggerimenti che le nostre guide ci hanno fornito prima di partire, abbiamo preparato uno zaino essenziale (parola d’ordine di questo pellegrinaggio). Questo, come altri consigli, si sono rivelati fondamentali per affrontarlo, ma è altrettanto vero che il cammino stesso ti insegna subito cosa devi fare: goderti il ritmo; sentire il passo; ascoltare il tuo corpo; smettere di guardarti allo specchio perché i capelli resteranno così fino alla meta; conoscere i tuoi compagni di viaggio; lasciarti stupire da ciò che sei in grado di fare e da quello che ti accade.

Eravamo diretti alla Porziuncola, situata nella Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi e, per questo, durante tutto il viaggio ci siamo preparati all’incontro con il Signore. In quella ‘piccola porzione’ di mondo avremmo richiesto l’indulgenza, ci saremmo mostrati senza sovrastrutture, avremmo portato la nostra domanda e la nostra offerta a Dio. Era importante, perciò, preparare il nostro cuore e la nostra anima a quel momento; riflettere sulle nostre esperienze di vita, sulle relazioni che stringiamo o abbiamo stretto in passato, sulla strada che Dio ha predisposto per noi, sulla nostra vocazione…Ma come poter operare tutte queste riflessioni senza essere abituati all’ascolto?

Abbiamo imparato ad aprire le orecchie, a liberare il cuore lasciandoci stupire dal Signore, a porci le giuste domande in un clima di raccoglimento e discernimento. L’insegnamento più grande che il pellegrinaggio mi ha trasmesso è stato, tuttavia, l’importanza di sapersi affidare alla Provvidenza.

Spesso ci si concentra solo sugli aspetti negativi di questo mondo e della società che ci circonda, invece, durante questa esperienza abbiamo potuto sperimentare sulla nostra pelle l’accoglienza, la gentilezza e la carità che anima le persone incontrate; famiglie e comunità parrocchiali pronte ad ospitare per la notte venti sconosciuti, a rifornirli d’acqua e di provviste per continuare il viaggio.

Il terzo giorno di pellegrinaggio siamo partiti tutti con uno spirito particolarmente positivo, d’altronde il terzo è quel che si dice il giorno in cui non si sente più il dolore muscolare. Ed effettivamente lo percepivo: le gambe si erano abituate allo sforzo fisico, le anche si erano stabilizzate e lo zaino era quasi leggero sulle mie spalle…eppure l’arco plantare si faceva sentire più che mai! Mi ero ripromessa di non mollare. Non potevo darla vinta a tutti coloro che mi avevano detto che non ce l’avrei fatta; ma d’altronde le vie del Signore sono infinite e chissà, forse quel che voleva per me in quel momento, era che io cedessi, che accogliessi i miei limiti e mi fermassi. E così ho fatto: al diciannovesimo chilometro (dei 29 totali che gli altri ragazzi avrebbero percorso quel giorno) mi sono fatta venire a prendere.

Ad oggi mi rendo conto che se non avessi chiesto aiuto non avrei avuto l’occasione di osservare, appena arrivati a destinazione, i volti dei miei compagni approdati a Monteleone dopo i quasi 30 chilometri affrontati. Avevano i visi stanchi, sudati ma splendenti con un sorriso meraviglioso e con occhi estremamente fieri. In quel preciso istante, ho preso consapevolezza di quanto il cammino permettesse ad ognuno di superare sé stessi ed i propri limiti, e quanto un pellegrinaggio come il nostro fosse un percorso intimo, spirituale e allo stesso tempo di comunità.

Affidarmi alla Sua forza ed alla Sua accoglienza è quel che mi ha permesso di prendermi il tempo necessario per assaporare quel che di bello stava accadendo attorno a me, per poi ripartire e raggiungere con i miei compagni la Porziuncola con un sentimento di grande felicità.

Pur avendo raggiunto la meta del nostro cammino, ho avvertito che questa fosse solo un punto di partenza da cui intraprendere un rinnovato cammino spirituale. Consapevole che il Signore è quell’ospite che bussa alla porta quando meno te lo aspetti, quando hai casa tutta in disordine, sei struccata ed hai i capelli arruffati. A Lui non devi mostrarti perfetta, ti conosce meglio di chiunque altro e conosce il momento in cui hai più bisogno della Sua presenza.

Rachele

 

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